Conoscersi per amarsi – Storie e storielle campagnole
Ed allora compresero che il “Tesoro” stava nel campo, in quella terra resa fertile dal lavoro. Non è la fine di un racconto, ma soltanto l’inizio. Un inizio che ti sprona a “rissodare” ancora quel campo per ricavarne altro prodotto per la tua economia di vita.
Ne parla la storia, gli anziani che hanno vissuto un’epoca che si è salvata grazie al lavoro dei campi. Decine e decine di braccianti ogni giorno si recavano nella tenuta del “sior paron” per zappare, ripulire o scavare fossi e canalette, vangare e livellare il terreno, falciare, raccogliere il fieno ed i prodotti maturi, dissodare il terreno con i buoi, accudire al bestiame, tagliare la legna ed altri lavori. Era una fatica che affrontavano con pochi attrezzi, ma con tanto sudore.
Oggi non vediamo più i braccianti con gli attrezzi in spalla che vanno o tornano dal lavoro cantando, bensì il coltivatore che sale al mattino sul trattore dotato di tecnologia sofisticata, cabina condizionata, radio, CD, navigatore satellitare.
Raccontava mia nonna che si iniziava a lavorare alle cinque del mattino e si faceva una pausa alle otto con una fugace colazione. Ogni bracciante portava da casa una fetta di polenta ed un po’ di companatico messo da parte nella cena della sera precedente. Questo companatico era di solito una fetta di salame o un pezzo di formaggio, o fetta di cotechino, o fichi secchi… Tutto era custodito nel cassetto della tavola in cucina. La nonna, infilando la mano nel cassetto, prese le fette di polenta e di salame e raccolta la zappa si avvia al campo attraverso sentieri, saltando anche i “fossetti” per abbreviare il percorso al luogo di lavoro. Per strada incontra altri braccianti che si uniscono. Si lavora, si prega, si canta ed intanto arriva l’ora della colazione. Si accende un fuocherello con pezzi di legna, ed ognuno apre il fagottino della colazione e la riscalda al fuoco con uno spiedino improvvisato. Ma la fretta e l’oscurità dell’ora mattutina ha giocato un brutto scherzo alla nonna, il salame non c’era ed al suo posto trova un tappo di sughero. Risata generale e solidarietà poi. Attorno al fuoco si sostava riposando ed alla fine si fumava anche una sigaretta. Un bracciante, dopo aver arrotolato per bene la cartina con il tabacco, accende la sigaretta con un fiammifero. In quel mentre si sente uno scappellotto “tra coppa e collo”. Si gira e vede il padrone e gli chiede che cosa ha fatto per meritarsi una sberla. Si sente rispondere: “Ti te sarè sempre un pitoco”; “parchè”, chiede il bracciante; “parchè te podei risparmiar un zerin e impizar la zigareta con la brasa che te ghe li davanti”, risponde il padrone.
Un’azienda di buone dimensioni aveva decine di braccianti. Ma gli attrezzi del padrone erano di piccole dimensioni rispetto a quelli dei braccianti che erano stati modificati e maggiorati. Il badile era più ampio e la forca con i denti più lunghi. Così il bracciante muoveva più terra e più fieno.
È noto il pensiero politico ideologico totalmente agli antipodi tra padroni e lavoratori. L’uno a salvaguardia delle proprietà e l’altro nell’interesse del lavoratore. Dopo l’evento bellico e della libertà ottenuta, circolava la voce del probabile arrivo di un regime totalitario e la perdita della libertà. Allora un giorno il padrone chiama gli operai e mostra loro l’aratro con tutto il traino distesi per terra, in attesa di essere attaccati ai buoi. El versor, la sborozaia, i timonzei e i zoi……e disse loro: “vedio ghè tuto pronto par arar el campo, ma ve dirò che se dopo le elezioni el goerno el sarà comunista tocarà a voaltri a sostituir i bò”.
Un giorno d’ inverno a casa di un bracciante arrivano altri braccianti, chiamati dallo stesso, per farsi aiutare alla costruzione di uno “stanzio per il porco”. Si mettono al lavoro di buona lena. Chi liscia i pali, chi prepara la copertura, e chi “l’arbio par el paston”. La voglia di fare e la gioia di realizzare hanno costruito il porcile nella sala di ingresso dell’abitazione, al riparo dal freddo, accorgendosi solo quando si sono accinti a portare all’esterno il manufatto che date le dimensioni, non passava dalla porta. Il racconto ci hanno assicurato che è vero tant’è che al proprietario è stato affibbiato un soprannome.
Ci sono molte storielle sul lavoro ma ne raccontiamo alcune sui giovani. Uno dei divertimenti più frequenti era quello, di far uscire di notte dal porcile il maiale del vicino e poi chiamare lo stesso per dirle: “Toni te ghè el porco remengo par la corte”. Allora il proprietario del maiale, dopo non pochi improperi, scendeva in corte e, con non poca fatica, faceva rientrare nel porcile l’animale. Altro scherzo era quello di scambiare i maiali da un porcile all’altro mettendo quello piccolo al posto di quello più grande, così l’immancabile sorpresa al mattino dei proprietari che vedevano l’uno dimagrito il suo maiale e l’altro invece improvvisamente cresciuto. Altro scherzo era quello di scambiare gli scuri di una casa con gli scuri di un’altra casa e figuriamoci le sorprese ed i disguidi dei proprietari per le differenti dimensioni che non coincidevano con le proprie e le finestre rimanevano aperte.
Per ora fermiamoci qui, si divertivano con poco senza danno per nessuno, scherzi innocenti che univano i residenti nel raccontare nei filò tali fatti.“Te ricordito toni che la olta che piero el sa irrabia parchè ghe scapà el mas’cio”, e tutti ridevano. Storie e storielle campagnole che sono ormai passate alle spalle ma restano per la memoria.
Luigino Massagrandi