Le tradizioni contadine di un tempo sulla Fiera Agricola San Biagio
La tradizioni contadine erano quelle che si tramandavano non solo a parole ma attraverso l’attività quotidiana del fare le attività casalinghe, fare le pulizie della stanze da letto, apparecchiare la tavola, preparare il cibo, pulire per terra. Tutti lavoravano. La tradizione era come preparare il terreno per le semine, come raccogliere il grano e conservalo, come allevare il bestiame per avere il latte, per avere i buoi per lavorare la terra, per avere gli animali domestici per la sopravvivenza, per avere un reddito sufficiente per pagare l’affitto, comprarsi i vestiti per la domenica, per far crescere i figli per il lavoro di domani. La tradizione è trasmettere i valori “C’è un tesoro nel campo”.
La gente allora lavorava sodo, era povera di soldi, ma era ricca di idee, di volontà, di esperienza e di conoscenza delle tradizioni.
La gente era sveglia, perspicace, intelligente tanto è vero che il Vescovo di allora nel 1278, ricordo che Bovolone era un Feudo Vescovile sotto la giurisdizione del Vescovado di Verona, vedendo questa intraprendenza, inventò la Fiera Agricola di San Biagio, perché gli agricoltori portassero i loro prodotti in piazza per venderli, per scambiarli con altri per dimostrare anche come si lavora il campo per ottenere un miglior reddito.
In questa occasione che cadeva nel giorno della Festa del Patrono San Biagio, il 3 di febbraio o nella domenica immediatamente vicina, in piazza, senza il pagamento di tasse, venivano portati anche attrezzi per la lavorazione del terreno e le sementi per le semine.
La Fiera era una festa, si svolgeva nel Foro Boario nello spazio a fianco del viale della stazione. Foro significa luogo di incontro, di trattative, Boario significa Bestiame e merci. Oggi il luogo è stato trasformato e vennero costruite nel 1960 case di abitazione. Allora invece vi erano piante e prati dove potevano sostare gli animali. Vicino c’era la trattoria alla pesa. In questo luogo vi erano buoi, vacche, vitelli, asini, muli e maiali d’allevamento. Nella piazza: attrezzi per l’aratura del terreno, erpicatura, carri, carretti, carriole, aratri, e sementi e prodotti agricoli.
Le donne portavano i pulcini dentro “Le corghine” cioè dei cesti dove potevano stare al caldo per poi rivenderli ad altri allevatori. Io ricordo che mio papà mi aveva incaricato di vendere alcuni sacchi di frumento. Poi c’erano i cantastorie che animavano la piazza. I venditori gridavano chiamando la gente che sostava attenta: vernice colorante, i pacchi, i dentifrici o meglio erbe edulcoranti per la pulizia ed il fluoro atte a rinforzare la dentatura. Magie del passato riuscivano a vendere l’impossibile. La banda passava e suonava, poi c’era il concerto in piazza su tribune appositamente preparate… Gli uomini andavano all’osteria, le astuzie dell’osto con “i pearini” invenzione della pasticceria Perbellini, stuzzichini per poi far bere la clientela. Oggi si sfornano ancora. Gli uomini portavano il “Tabaro” cioè il mantello grande e scuro di colore grigio o marrone o nero. Il blu invece era per gli uomini di un certo rango e per i collegiali con i fregi dorati e la catenella. Le donne indossavano lunghe gonne di un certo spessore e grandi scialli di lana che avvolgevano tutte le spalle, il collo fino a perdersi sui fianchi, ed in testa portavano un fazzoletto, sempre di lana nera con qualche ricamo. Erano anni molto freddi, ricordo che sin dai primi di dicembre nevicava e molto, il mattino per andare a scuola si doveva aspettare che con i buoi si aprissero con le slitte le stradelle di campagna tra filari di piante e le strade della piazza. La neve durava fino alla fine di gennaio e la stagione iniziava a migliorare dalla fine di febbraio. Si arrivava sempre sotto zero. Ghiaccio dappertutto. Come calzari portano scarpe con la suola di legno come i zoccoli e perché durassero di più venivano messi dei chiodi nelle suole di legno. La piazza era animata da tanta gente. Vi erano banchetti con frittelle e dolci, banchetti dove si poteva mangiare la straordinaria porchetta e nelle osterie e botteghe il cotechino cotto e sempre caldo, il vin brulé, ed il vino fresco di annata. Un po’ come ora.
Luigino Massagrandi